Luce al magnesio


Lampada a luce di magnesio del 1870

Le lampade al magnesio vennero utilizzate a partire dal 1865 anche se il magnesio era molto caro e la sua attinicità mal si coniugava con la sensibilità spettrale delle emulsioni fotografiche. Agli inizi del '900, con la nascita delle pellicole pancromatiche e la produzione industriale del magnesio che ne abbassò i costi, il lampo al magnesio si diffuse rapidamente. Queste lampade consistevano in contenitori attrezzati per bruciare polvere di magnesio. Il flash di queste lampade produceva molto fumo e polveri di ossido di magnesio. Questo inconveniente venne superato con il brevetto di Erwin Quedenfeldt che nel 1900 presentò una lampada simile a quelle a bulbo in vetro per l'illuminazione elettrica che conteneva polvere di magnesio sopra al filamento che ne avrebbe causato l'accensione. Naturalmente questo tipo di lampade flash non prevedeva alcuna sincronizzazione tra accensione della lampada e scatto dell'otturatore. Un passo avanti fu la diffusione delle pile a secco utilizzate per l'accensione elettrica delle lampade. Un altro avvenne nel 1929 quando la lampada Vakublitz fu prodotta da Johannes Ostermeier su progetto di Paul Vierkotter. Egli inizialmente aveva ideato un filamento di magnesio contenuto in un bulbo contenente ossigeno a bassa pressione (1925) ma, nel 1927, aveva sostituito il magnesio con dei foglietti di alluminio. La Vakublitz si diffuse rapidamente e prodotti analoghi furono messi in commercio dalla General Electric (Sashalite, 1930) e dalla Philips (Photoflux, 1933).
Una lampada al magnesio in acciaio e ottone del 1880

Il magnesio è l'elemento chimico della tavola periodica degli elementi che ha come simbolo Mg e come numero atomico il 12. Il magnesio è l'ottavo elemento più abbondante e costituisce circa il 2% della crosta terrestre, inoltre è il terzo per abbondanza tra gli elementi disciolti nell'acqua marina. In natura non esiste allo stato libero, ma si trova complessato con altri elementi. Questo metallo alcalino terroso è principalmente usato come agente legante nella produzione di leghe alluminio-magnesio. Il magnesio è un metallo leggero (di un terzo rispetto all'alluminio), di colore bianco argento e abbastanza duro, che si appanna leggermente se esposto all'aria. La polvere di questo metallo si scalda e brucia con una fiamma bianca a contatto con l'aria. È difficile che prenda fuoco quando viene conservato in grosse quantità, ma si infiamma facilmente se disposto in strisce o filamenti sottili (usato per le lampade fotografiche a flash).
Utilizzo Il magnesio metallico puro non può venir utilizzato per la fabbricazione di oggetti metallici per la precaria resistenza alla corrosione
In passato il magnesio veniva utilizzato nella fotografia (lampo al magnesio), mentre trova tuttora impiego nella preparazione di miscele pirotecniche e bombe incendiarie. Viene anche utilizzato per la fabbricazione di leghe superleggere a base di alluminio, nelle quali il magnesio è un componente secondario. Queste leghe per le loro ottime caratteristiche meccaniche e di resistenza alla corrosione, oltre che per l'eccezionale lavorabilità, vengono utilizzate nel campo aeronautico, automobilistico e ferroviario. Infine il magnesio è largamente usato nella preparazione di prodotti farmaceutici, nella fabbricazione di cementi e di rivestimenti refrattari.


Le Catacombe di Parigi, immagine scattata da Nadar nel 1861 con luce al magnesio

Nastro di magnesio

Immagine scattata con luce al magnesio del 1860



Precauzioni: il magnesio in forma pura è altamente infiammabile, specialmente se in polvere. Brucia con una fiamma bianca dalla luce accecante. Il magnesio reagisce rapidamente e in maniera esotermica a contatto con l'aria o l'acqua e deve essere maneggiato con cura. Non si deve mai usare acqua per estinguere un fuoco di magnesio. Il magnesio acceso a contatto con il vapore acqueo, reagisce: Mg + H2O MgO + H2 La reazione produce idrogeno (H2) che, dato il calore sviluppato dalla reazione stessa, può infiammarsi ed esplodere.

Combustione del magnesio





L'obiettivo anastigmatico

Paul Rudolph, riprendendo lo schema di Taylor, introdusse nel mondo fotografico l’obiettivo anastigmatico, messo in vendita nel 1889. Per anastigmatico si definisce, in ottica come in fotografia, un sistema progettato per correggere tutte le aberrazioni, compreso l’astigmatismo. Se si escludono le macchine ultraeconomiche come le "usa e getta", in fotografia tutti gli obiettivi moderni sono di tipo anastigmatico. Gli obiettivi anastigmatici derivano dallo schema simmetrico o dal tripletto (schema a tre lenti non collate) di Frederick Winslow Taylor. Un altro passo avanti per l’obbiettivo anastigmatico si deve ai tecnici della “Carl Zeiss”, che verso la fine del 1890 accoppiarono una nuova coppia acromatica di lenti del tipo precedente, ottenendo un obiettivo (chiamato “Protar”) privo di cromatismi, astigmatismo e curvature del campo.
disegno di un obiettivo Unicum
schema computerizzato dello schema anastigmatico
schema dell'obiettivo anastigmatico


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L'obiettivo Zeiss Tessar

Obiettivo M-40mm f2-8 della Pentax con sistema Tessar da 5 lenti

Il Tessar è un tipo di obiettivo che fu prodotto dall’azienda Zeiss. Per la sua alta qualità, gli fu attribuito l’appellativo di Adlerauger “occhio d'aquila”. Il Tessar, dal greco “tessera” “quattro”, è appunto costituito da quattro lenti in tre gruppi. Rappresenta la spina dorsale dell'ottica moderna, ed è stato il primo obiettivo moderno su cui, i vari produttori, ne imitarono l’efficacia. Tuttora, ad oltre un secolo dalla sua creazione, è la base degli obiettivi fotografici.
schema ottico

il diagramma dello schema ottico

un obiettivo Zeiss del 1796, su fotocamera Sony

obiettivo della Zeiss a tendina


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Il New York Daily Graphic

del 1973
Il New York Daily Graphic, è stato il primo giornale quotidiano americano con illustrazioni. Fu fondato a New York nel 1873 da una società canadese di incisori, e iniziò la sua prima pubblicazione nel marzo dello stesso anno. continuando a pubblicare fino al 1889. Altamente illustrato, le sue rappresaglie figurative includevano fumetti, riproduzione di dipinti, illustrazioni di cronaca contemporanea e di personaggi famosi. Il New York Daily Graphic, fu simile al giornale inglese di Londra “The Graphic” , fondato nel 1869 , che iniziò la sua pubblicazione in coincidenza della chiusura del “giornale” americano nel 1889. In seguito alla sovrapposizione di date per la fine del giornale di New York, e l'inizio di Londra, è probabile che i diritti del nome siano stati acquistati dalla società inglese.
del 1972

del 1973

del 1974

del 1975


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Le vedute animate

Il prodotto caratteristico del cinematografo Lumière sono le cosiddette "vedute animate", ovvero scenette realistiche prese dal vero della durata di circa trenta secondi. L'interesse dello spettatore era tutto nel guardare il movimento in sé e nello scoprire luoghi lontani, non tanto nel vedere storie come a teatro. Le inquadrature sono fisse e non esiste il montaggio; sono caratterizzate da un'estrema profondità di campo (si pensi all'Arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, dove il treno è a fuoco sia quando si trova lontano sullo sfondo sia quando arriva in primo piano) e da personaggi che entrano ed escono all'inquadratura, in una molteplicità di centri di attenzione (si pensi all'Uscita dalle officine Lumière). La centratura dell'immagine era infatti valutata approssimativamente, perché la macchina da ripresa Lumière non era dotata di mirino. L'operatore non è invisibile, anzi spesso dialoga con i personaggi (L'arrivo dei fotografi al congresso di Lione), e le persone ritratte erano invitate a riguardarsi alla proiezione pubblica ("auto-rappresentazione"). Questa caratteristica venne poi considerata come un difetto della registrazione nel cinema successivo, venendo poi rivalutata solo in epoca contemporanea. Solo in secondo momento nacquero le riprese in movimento (effettuate ad esempio da treni in partenza o imbarcazioni) e, circa un decennio dopo i primi esperimenti, i Lumière iniziarono a produrre film veri e propri composti da più "quadri" messi in serie, però proiettati separatamente, come le Passioni di Cristo. Figura fondamentale nelle rappresentazioni restava l'imbonitore che, come i tempi della lanterna magica, istruiva, spiegava e intratteneva il pubblico commentando le immagini, che ancora non erano intelligibili autonomamente. Riassumendo in breve, le caratteristiche delle vedute Lumière erano:
- Inquadratura unica (assenza di montaggio; anche le storie più articolate, come le Passioni di Cristo, erano proiettate in spezzoni separati).
- Profondità di campo (la messa a fuoco contemporanea di figure vicine e lontane).
- Molteplici centri di attenzione in ciascuna inquadratura e movimento "centrifugo" dei personaggi (che entrano ed escono dall'inquadratura).
- Tracce dell'operatore nei film (non si nasconde che si sta facendo una ripresa: le persone sono consapevoli di essere riprese, guardano in macchina, si mettono in posa, salutano).
- Presenza dell'imbonitore alle proiezioni che spiegava le scene e narrava la storia (spesso era lo stesso addetto alla proiezione), quindi spettacolo incomprensibile da solo.






Lumière, i fratelli che inventarono il cinema.


Il cinema dei Lumière

Con il cinematografo dei Fratelli Lumière del 1895 si può iniziare a parlare di cinema vero e proprio, composto da uno spettacolo di proiezione di fotografie (il primo proiettato il 28 dicembre 1895 in un seminterrato di un locale parigino) scattate in rapida successione, in maniera da dare l'illusione di movimento, a un pubblico pagante radunato in una sala. Di pochi anni più antico era il kinetoscopio di Thomas Edison, con lo stesso procedimento di animazione delle immagini che scorrevano in rapida sequenza, però il modo di fruizione monoculare (e quindi non proiettato) lo rendeva antenato del cinema vero e proprio, l'ultima fase del precinema. La proiezione permetteva dopotutto un maggiore guadagno economico per via della fruizione collettiva, per cui si impose presto. In realtà le invenzioni legate alle fotografie in movimento furono innumerevoli in quegli anni (si contarono nella sola Inghilterra circa 350 brevetti e nomi). Tra tutte queste l'invenzione dei Lumière aveva l'innegabile vantaggio dell'efficiente cremagliera, che trascinava la pellicola automaticamente a scatti ogni 1/25 di secondo, e una praticità mai vista, essendo la macchina da presa una piccola scatoletta di legno, facilmente trasportabile, che all'occorrenza, cambiando solo la lente, si trasformava anche in macchina da proiezione.
"L'uscita dalle officine Lumière", considerato il primo documentario della storia, 1895

"Arrivo di un teno alla stazione di La Ciotat" del 1896. Considerato il primo film della storia.

Un'altra sequenza del film, 1896

I fratelli Lumière.
"L'arrivo di un treno alla stazione di la Ciotat"


la Divina Commedia


La Divina Commedia è un poema di Dante Alighieri, scritta in lingua volgare fiorentina. Composta tra il 1307 e il 1321, è l'opera più celebre di Dante, una delle più importanti testimonianze della civiltà medievale e uno dei capolavori della letteratura mondiale. Il poema è diviso in tre parti, Inferno, Purgatorio e Paradiso (chiamate cantiche), ognuna delle quali è composta da 33 canti (l'Inferno ne ha 34).

Un importante documento scritto in volgare (Trattato tra Pisa e Tunisi del 1264).

Il poeta narra di un viaggio attraverso i tre regni ultraterreni che lo condurrà fino alla visione della Trinità.

Dante, all'ingresso del Paradiso.

La sua rappresentazione immaginaria dell'oltretomba cristiana è il culmine della visione medioevale che rappresentava la Chiesa cattolica in quell’epoca.

Una rappresentazione di Bonifacio VIII, papa all'epoca di Dante Alighieri 1303.

L'inizio della stesura dell'Inferno coincide dal 1302, dopo l'esilio di Dante. La prima menzione della Divina Commedia in un documento, risale al 1317 da un registro di atti ritrovato a Bologna, con una terzina dell'Inferno copiata sulla copertina, mentre il ritrovamento di altri manoscritti più antichi risalgono al 1330, una decina di anni dopo la morte di Dante. La scrittura del Purgatorio combacia con l'ultima parte dell'Inferno. Il Paradiso viene inserito tra il 1316 e il 1321, data della morte del poeta. Non c’è nessuna firma autografata da Dante, ma sono conservati tre manoscritti della Commedia copiati integralmente da Giovanni Boccaccio, il quale non si servì di una fonte originaria, ma di manoscritti a loro volta copiati. A tal proposito bisogna pensare che Dante durante l’esilio si spostò molto, quindi non potendo portarsi dietro molte carte è probabile che i manoscritti originali siano dispersi.

Dante descrive il dolore dell'esilio nella Divina Commedia, Paradiso XVII.

La prima pagina della Divina Commedia.

la Divina Commedia: inferno

La porta dell'inferno.
La vera descrizione dell'Inferno ha inizio nel Canto III; i due viaggiatori Dante e Virgilio giungono alla sua porta già nei primi versi di questo Canto. Sotto la città di Gerusalemme si apre l'ingresso al primo regno, sul quale si possono leggere alcuni versi di ammonimento:
Oltrepassato uno scuro corridoio, i poeti si ritrovano sulle rive dell'Acheronte, il primo fiume infernale, per il quale le anime devono passare per raggiungere l'Inferno vero e proprio e che vengono trasportate da Caronte. Qui, nel Vestibolo, oltre alle anime in attesa di essere portate dalla parte opposta, stanno gli ignavi, quelli che in vita non vollero prendere posizioni, e che sono rifiutati sia dall'Inferno che dal Paradiso.

Caronte tiene a bada le anime da traghettare, molestandole con il remo.

Passato l'Acheronte, i due attraversano il primo cerchio, il Limbo, dove stanno le anime pure di coloro che non furono battezzati (come i bambini morti subito dopo la nascita), e si trovano anche gli "spiriti magni" dell'antichità (compreso Virgilio stesso); quindi Dante e il suo "maestro" entrano nell'Inferno vero e proprio. Alla porta di questo sta Minosse, che, da giudice giusto quale fu, decreta il cerchio dove le anime dannate dovranno scontare la loro pena; ad ogni cerchio, infatti, corrisponde un peccato, più grave se il numero è maggiore.

Minosse, che giudica le anime dannate.

Superato Minosse, i due si ritrovano nel secondo cerchio, dove sono puniti i lussuriosi tra cui spiccano le anime di Cleopatra ed Elena di Troia che raccontano la loro vita e Francesca la sua passione amorosa verso Paolo Malatesta, quindi i golosi, in eterna punizione che consiste nell'essere divorati da Cerbero e gli avari e i prodighi.

Le anime di Paolo e Francesca.

Superato poi lo Stige, nelle fangose acque del quale sono puniti iracondi e accidiosi, traghettati sulla riva opposta dalla barca di Flegiàs, creatura infernale, i due entrano nella Città di Dite, dove sono puniti coloro "che l'anima col corpo morta fanno", cioè gli epicurei e gli eretici in generale: tra gli eretici incontrano Farinata degli Uberti, uno dei più famosi personaggi dell'Inferno dantesco.

Dante e Virgilio osservano Farinata degli Uberti.

Superata la città, il poeta e la sua guida scendono uno scosceso burrone, oltre il quale incontrano il terzo fiume infernale, il Flegetonte, un fiume di sangue bollente; questo fa parte del primo dei tre gironi in cui è diviso il VII cerchio, quello in cui sono puniti i violenti tra cui il Minotauro ucciso da Teseo con l'aiuto di Arianna. All'interno del Flegetonte, scontano la loro pena i violenti verso il prossimo; oltre la sua sponda invece, trasformati in arbusti perennemente attaccati da delle arpie, stanno i violenti contro sé stessi, cioè i suicidi dove troviamo Pier della Vigna  e gli scialacquatori;

I suicidi, trasformati in arbusti perennemente attaccati da delle arpie.

mentre nell'ultimo girone, in una landa infuocata, stanno i violenti contro Dio, la Natura e l'Arte, ossia i bestemmiatori, i sodomiti, tra cui Brunetto Latini, e gli usurai. A quest'ultimo girone Dante dedicherà, molti versi.

Dante e Virgilio osservano i Violenti contro Dio.

Superato il VII cerchio, Dante e Virgilio raggiungono l'VIII cerchio chiamato Malebolge, dove sono puniti i fraudolenti, il quale è diviso in dieci bolge, fossati a forma di cerchi concentrici, scavati nella roccia e digradanti verso il basso, alla base dei quali si apre il Pozzo dei Giganti. Superate le bolge sono puniti ruffiani, adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri e fraudolenti tra cui Ulisse e Diomede: il primo racconta come lui morì, ma Dante non avendo saputo la vera morte di Ulisse predetta da Tiresia inventa la sua amara fine avendo superato le Colonne d'Ercole, simbolo per Dante della ragione e dei limiti del mondo. Poi incontrano seminatori di discordie e falsari e i due accedono nel IX ed ultimo cerchio, dove sono puniti i traditori.

La discesa degli abissi, il cerchio chiamato Malebolge.

Questo cerchio è invece diviso in quattro zone, coperte dalle acque gelate del Cocito; nella prima, chiamata Caina (da Caino, che uccise il fratello Abele), sono puniti i traditori dei parenti, nella seconda, la Antenorea (da Antenore, che consegnò il Palladio di Troia ai nemici greci), vi stanno i traditori della patria, nella terza, la Tolomea (dal re Tolomeo XIII, che al tempo di Cesare uccise il suo ospite Pompeo), si trovano i traditori degli ospiti, e infine nella quarta, la Giudecca (da Giuda Iscariota, che tradì Gesù), sono puniti i traditori dei benefattori. Da citare la presenza nell'Antenorea del Conte Ugolino che narra la sua morte, e dell'Arcivescovo Ruggieri. Ugolino appare nell'Inferno sia come un dannato che come un demone vendicatore, che affonda i denti per l'eternità nel capo dell' Arcivescovo Ruggieri.

Il conte Ugolino, che affonda i denti per l'eternità nel capo dell' Arcivescovo Ruggieri.

Di quest'ultima zona vengono nominati solo tre peccatori, Cassio, Bruto e Giuda Iscariota, la cui pena è quella di essere maciullati dalle tre bocche di Lucifero, che qui ha la sua dimora.

Dante e Virgilio scorgono Lucifero.

Scendendo lungo il suo corpo peloso, Dante e Virgilio raggiungono una grotta e scendono per alcune scale: Dante è stupito: non vede più la schiena di Lucifero ma Virgilio gli spiega che si trova nell'Emisfero Australe che li condurrà alla spiaggia del Purgatorio.

Dante e Virgiglio, usciti dall'Inferno, rivedono le stelle.






la Divina Commedia: paradiso

I primi versi del primo Canto del Paradiso.
Mentre l’Inferno e il Purgatorio sono luoghi presenti sulla Terra, il Paradiso è un mondo immateriale, etereo. Il Paradiso è composto da nove cerchi concentrici, che prendono il nome dai corpi celesti del sistema solare, al cui centro sta la Terra. In ognuno di questi cieli, a seconda del loro grado di beatitudine, stanno i beati più vicini a Dio.

La struttura del Paradiso nella Divina Commedia.
Le anime del Paradiso non stanno meglio o peggio, e nessuno desidera una condizione migliore di quella che ha, poiché la carità non permette di desiderare altro se non quello che si ha. Dio, al momento della nascita, ha donato secondo criteri inconoscibili ad ogni anima una certa quantità di grazia, ed è in proporzione a questa che essi godono diversi livelli di beatitudine. Libero da tutti i peccati, adesso Dante può ascendere al Paradiso e, accanto a Beatrice, vi accede volando ad altissima velocità. Egli sente tutta la difficoltà di questa condizione ultra terrena, ma confida nell'aiuto del buon Spirito Apollo. Prima di raggiungere il primo cielo i due attraversano la Sfera di Fuoco. Nel primo cielo, quello della Luna, stanno coloro che mancarono ai voti fatti (gli Angeli).

Le anime del primo Cielo, quello della Luna, anime inadempienti.
Nel secondo, il cielo di Mercurio, risiedono coloro che in Terra fecero del bene per ottenere gloria e fama, non indirizzandosi al bene divino (gli Arcangeli).

Nel secondo Cielo, quello di Mercurio, Dante e Beatrice osservano le anime che formano un'aquila. Sono gli Arcangeli.
Nel terzo cielo, quello di Venere, stanno le anime degli spiriti amanti (i Principati).

Nel terzo cielo, quello di Venere e dove stanno i Principati, Dante e Beatrice incontrano Carlo Martello.
Nel quarto, il cielo del Sole, gli spiriti sapienti (i Potestà).

Nel quarto cielo, quello del Sole e dove stanno gli spiriti sapienti, San Tommaso d'Aquino elogia San Francesco.
Nel quinto, il cielo di Marte, gli spiriti militanti dei combattenti per la fede (la Virtù).

Dante e Beatrice osservano il quinto Cielo, quello di Marte, dove stanno gli Spiriti militanti.
Nel sesto, il cielo di Giove, gli spiriti governanti giusti (le Dominazioni).

Il sesto Cielo, quello di Giove, dove stanno gli Spiriti giusti e l'anima di San Pietro.
Giunti al settimo cielo, quello di Saturno e dove stanno gli spiriti contemplativi (i Troni), Beatrice non sorride più, come invece aveva fatto finora; il suo sorriso, da qui in poi, risulterebbe tanto luminoso a causa della vicinanza a Dio, e per Dante sarebbe insopportabile.

Nel settimo Cielo, quello di Saturno,  gli Spiriti contemplativi formano la Scala Celeste, luminosa, dal colore di oro splendente.
In questo cielo Beatrice innalza Dante fino al cielo delle Stelle fisse, dove si trovano le anime trionfanti, che cantano le lodi di Cristo e della Vergine Maria; da questo cielo, Dante può osservare anche il mondo sotto di sé, i sette pianeti e i loro moti e la Terra, piccola e misera in confronto alla grandezza di Dio (Cherubini).

Nell'ottavo Cielo quello delle Stelle fisse e dove stanno gli Spiriti Trionfanti, Dante può intravedere la Vergine Maria.
Prima di proseguire Dante deve sostenere una sorta di esame in Fede, Speranza, Carità, da parte di tre professori particolari: San Pietro, San Giacomo e San Giovanni.

Dante sostiene una sorta di esame in Fede, Speranza e Carità alla presenza di San Giovanni.
Quindi, dopo un ultimo sguardo al pianeta, Dante e Beatrice accedono al nono cielo, il Primo Mobile o Cristallino, il cielo più esterno, origine del movimento e del tempo universale (Serafini). In questo luogo, sollevato lo sguardo, Dante vede un punto luminosissimo, contornato da nove cerchi di fuoco, vorticanti attorno ad esso; il punto, spiega Beatrice, è Dio, e attorno a lui stanno i nove cori angelici, divisi per quantità di virtù.

Dante e Beatrice contemplano la Rosa Celeste, o Candida Rosa, ove risiedono Dio gli angeli e tutti i beati .

Superato l'ultimo cielo, i due accedono all'Empireo, dove si trova la rosa dei beati, una struttura a forma di anfiteatro, sul gradino più alto della quale sta la Vergine Maria. Qui, nell'immensa moltitudine dei beati, risiedono i più grandi santi e le più importanti figure delle Sacre Scritture, come Sant'Agostino, San Benedetto, San Francesco, e inoltre Eva, Rachele, Sara e Rebecca.

Dante e Beatrice, osservano meravigliati il nono e ultimo Cielo, quello Cristallino, chiamato anche Primo mobile.
Da qui Dante osserva finalmente la luce di Dio, grazie all'intercessione di Maria alla quale San Bernardo (guida di Dante per l'ultima parte del viaggio) aveva chiesto aiuto perché Dante potesse vedere Dio e sostenere la visione del divino, penetrandola con lo sguardo fino a congiungersi con Lui, e vedendo così la perfetta unione di tutte le realtà, la spiegazione del tutto nella sua grandezza. Nel punto più centrale di questa grande luce, Dante vede tre cerchi, le tre persone della Trinità, il secondo del quale ha immagine umana, segno della natura umana, e divina allo stesso tempo, di Cristo. Quando egli tenta di penetrare ancor più quel mistero il suo intelletto viene meno, ma in un excessus mentis la sua anima è presa da un'illuminazione e si placa, realizzata dall'armonia che gli dona la visione di Dio, dell'amor che move il sole e l'altre stelle.